Storie uniche: il percorso di Anna

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Storie uniche

Anna Costato, Associazione Salute Donna

“Ricordo bene il 13 giugno 2003 perché quella mattina avevo ricevuto la diagnosi di tumore al seno. Avevo 49 anni. Un po’ me lo aspettavo, provenendo da un nucleo familiare colpito da malattie oncologiche frequenti: papà, mamma, nonna materna, alcuni zii e altri parenti, vicini e lontani. Tra questi, anche una sedicenne. Così ero entrata ufficialmente nel mondo dei malati di cancro e stavo sperimentando di persona quello che gli esperti definiscono ‘sindrome psico-neoplastica’. In altre parole, noi pazienti spieghiamo che il nostro vissuto da quel momento si era diviso in un “prima” e un ‘dopo’.

Fortunatamente, la mia era una diagnosi precoce, il tumore era piccolo, localizzato e non aveva ancora fatto grossi danni, compromettendo ‘solo’ il linfonodo sentinella. Avevo ottime probabilità di guarire, dopo la chirurgia e la terapia adiuvante. La chemioterapia ‘rossa’ non era stata una passeggiata, ma soprattutto mi aveva fatto cadere i capelli, un aspetto della cura che allora mi disturbava oltremodo. Mi ero procurata una parrucca per tempo che mi avrebbe garantito lo stesso aspetto di prima. Dopo due settimane dalla prima chemioterapia citotossica, esattamente come previsto dai medici e con insopportabile puntualità, i capelli erano caduti.

Dopo circa un anno dalla diagnosi le terapie erano terminate. Nessuna cura ormonale, dato che il mio tumore era di tipo triplo negativo. Avevo continuato il mio lavoro di impiegata, con poche interruzioni per le terapie, così come quello in famiglia – ininterrotto – con due figlie adolescenti. Facevo controlli semestrali e la mia vita era tornata ‘normale’. Leggevo gli articoli di stampa che raccontavano come la cantante famosa o l’attrice tal dei tali avevano affrontato il tumore al seno e ‘avevano vinto la battaglia contro il cancro’. Avevo assorbito come una spugna l’idea che anch’io ne sarei uscita ‘vittoriosa’, cioè guarita.

Ecco perché era stata una doccia fredda nell’ottobre 2008, dopo 5 anni dalla chirurgia, apprendere di una recidiva. Ricordo di averci impiegato un mese intero prima di accettare l’idea che non ero guarita, che da allora in poi sarei dipesa da terapie croniche, che il mio obiettivo non sarebbe stato più la guarigione, ma la speranza di rispondere il più a lungo possibile ad ogni diversa linea terapeutica. Tutto ciò per tenere controllata la malattia. La parola magica era ‘stabilità’. Il mio scopo era diventato ‘guadagnare tempo’ e vivere fino alla terapia successiva.

In questo percorso, anche il mio concetto di qualità della vita era cambiato. Dopo quella prima volta nel 2003, i miei capelli erano caduti altre due volte e dopo sono sempre ricresciuti. Non ne ho più fatto una tragedia. Si può convivere con un tumore al seno metastatico e condurre una vita lavorativa, familiare e sociale di buona qualità. È sorprendente come l’istinto di sopravvivenza renda adattabili a tanti disagi.

Nel maggio 2016 avevo accettato di entrare in uno studio clinico di Fase I di immunoterapia. Non ero tanto speranzosa ed ero esausta dopo tutti quegli anni di chemio, ma non c’erano più alternative farmacologiche per me. La vita però è imprevedibile: già dopo poche settimane stavo meglio e c’erano evidenze che la mia malattia era tornata sotto controllo. Dopo quasi 5 anni sono ancora nel trial e spero di restarci a lungo. Ogni tre settimane vado al Day Hospital per l’infusione endovenosa. In anni passati, la prospettiva di una terapia cronica mi sarebbe sembrata una sciagura mentre oggi ringrazio il cielo e la medicina per questo trattamento. Mi reputo fortunata perchè ho risposto a quasi tutte le linee di chemioterapia che ho ricevuto.

L’altra mia fortuna è stata di vivere a Milano ed essere in cura all’Istituto dei Tumori in via Venezian, dove ho ricevuto quello che si definisce ‘cura personalizzata’. Sono diventata una delle numerose volontarie dell’associazione Salute Donna Onlus e Salute Uomo. Si parla sempre al femminile del carcinoma mammario, ma anche gli uomini ne sono colpiti. C’è lavoro da fare per migliorare la condizione dei malati nel nostro Paese!”

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