Nel corso degli ultimi anni sono stati individuate diverse mutazioni del meccanismo di riparazione del DNA, come quelle dei geni ERCC2, FANCC, ATM, RB1. Tuttavia, nessuno di questi rappresenta al momento un bersaglio per terapie di provata efficacia. In alcuni casi i tumori della vescica possono presentare la mutazione del gene FGFR1-3 (corrispondente al recettore del fattore di crescita dei fibroblasti), per la quale sono in sperimentazione farmaci target. Questi biomarcatori rappresentano uno strumento importante e in futuro potrebbero indirizzare la terapia personalizzata.
Fra i tumori che colpiscono l’urotelio, quello della vescica è il più diffuso e richiede un maggior impegno clinico per il possibile reiterato intervento endoscopico nelle forme non muscolo-invasive. Nel 2020 sono state stimate circa 25.500 nuove diagnosi, di cui 20.500 tra gli uomini (dove è la quarta neoplasia più frequente dopo i 50 anni) e 5 mila tra le donne. Nel corso della vita, si ammala circa un uomo su 15 e una donna su 851.
Fra i fattori che maggiormente incidono sul rischio di sviluppare questo tumore ci sono il fumo di sigaretta e l’esposizione professionale ad alcune sostanze. I fattori genetici sono responsabili del 7% dei casi2. In base alla profondità raggiunta dal tumore si può avere un carcinoma uroteliale superficiale non muscolo-invasivo, che cioè ha colpito il rivestimento interno della vescica ma non ha intaccato il muscolo, oppure un carcinoma uroteliale muscolo-invasivo, che cioè ha invaso i tessuti muscolari. Il percorso terapeutico dipende dal tipo di tumore.
Le mutazioni coinvolte
Sebbene la ricerca stia facendo molti passi avanti, per il tumore della vescica non esistono ancora test molecolari diagnostici o predittivi, né trattamenti target che possono essere utilizzati nella pratica clinica. È stata comunque evidenziata una predisposizione genetica sull’incidenza del tumore vescicale attraverso l’impatto sulla suscettibilità all’esposizione ai fattori di rischio. Non sono stati individuati, infatti, dei biomarcatori diagnostici solidi che permettano di “classificare” il tumore dal punto di vista molecolare, e di seguirne l’evoluzione in maniera meno invasiva di quanto avviene oggi. Biomarcatori che, parallelamente, possano aprire all’impiego della terapia mirata. L’unica eccezione è rappresentata dal marcatore PD-L1 (una proteina che può essere espressa sulle cellule tumorali e che frena l’azione del sistema immunitario), il cui livello può indirizzare verso l’uso dell’immunoterapia nella seconda linea di trattamento per chi ha un tumore avanzato. Attualmente sono in corso alcuni studi che potrebbero cambiare rapidamente questo scenario in quanto sono stati individuati dei sottotipi molecolari che rappresentano una via promettente per personalizzare le cure3. Tra le mutazioni a cui si guarda con più interesse vi sono quelle del gene FGFR (Fattore di crescita dei fibroblasti).
Tra gli obiettivi di tali studi vi è anche quello di riuscire a predire l’efficacia di un trattamento in una data popolazione di pazienti, così da poterne aumentare le probabilità di successo ed evitare tossicità inutili. Anche la sperimentazione di farmaci “agnostici”, che agiscono su specifiche mutazioni e vengono usati indipendentemente dall’organo in cui si sviluppa il tumore, sta aprendo nuove prospettive, sebbene non siano ancora impiegati nella pratica clinica. La tipizzazione molecolare e genomica, insieme all’analisi dei big data, rappresenta oggi un’importante speranza per i pazienti affetti da tumore alla vescica.
La presa in carico
La personalizzazione della cura dovrebbe comprendere ogni aspetto del percorso diagnostico-terapeutico, a partire della comunicazione tra medico e paziente. Basti pensare all’intervento chirurgico: esistono opzioni diverse ed è importante che vengano spiegate in modo chiaro, affinché la decisione terapeutica sia realmente condivisa con il paziente. È altresì importante non abbandonare il paziente dopo averlo liberato dal tumore. Nel post cistectomia radicale il paziente deve imparare a gestire la “nuova vita” con la sua nuova derivazione, qualunque sia.
Le implicazioni nella vita quotidiana e le conseguenze sulla sfera sessuale, per esempio, possono essere molto invalidanti ed è quindi fondamentale che siano ben comprese in ogni loro aspetto. A seconda del tipo di intervento, i pazienti necessitano del supporto di urologi, andrologi, fisiatri, sessuologi, geriatri (in caso di persone anziane) e di psiconcologi. Ancora oggi, però, in molti casi il supporto psicologico viene offerto solo su richiesta, e dopo l’intervento molti pazienti si sentono abbandonati. Aldilà della necessità di sensibilizzare il cittadino sull’importanza della diagnosi precoce (educationing sulla sintomatologia) la presa in carico potrebbe cominciare persino prima della diagnosi: non esistono esami di screening, ma i fattori di rischio sono noti e potrebbero essere individuate le persone a maggiormente esposte, come i forti fumatori e alcune categorie di lavoratori.
1. AIOM-AIRTUM, I numeri del cancro in Italia 2020
2. AIOM, Linee guida Tumori dell’urotelio 2019
3. AIOM, Linee guida Tumori dell’urotelio 2019