Oncologia mutazionale: un nuovo modello organizzativo

Oncologia mutazionale: un nuovo modello organizzativo - immagine di copertina

Medicina personalizzata

Quando si dice che si ha un tumore, di solito la domanda che segue è: “dove?”, per intendere quale organo ha colpito. Un tumore è del seno, o della prostata, o del polmone e così via. Dal punto di vista medico significa che una cellula di quell’organo, con delle caratteristiche specifiche, si è “danneggiata” e si è “trasformata” in una cellula tumorale, cominciando a replicarsi in maniera incontrollata. Nonostante questo, mantiene comunque le caratteristiche peculiari dell’organo a cui appartiene (una cellula tumorale del seno, cioè, resta sempre una cellula del seno), e in base a tali caratteristiche vengono stabilite le terapie più appropriate. Questo approccio in oncologia viene chiamato modello istologico: è quello tradizionale, seguito da molti anni e ancora certamente valido.

Con lo sviluppo della biologia molecolare e della genomica, però, molto è cambiato e al modello istologico oggi viene affiancato il modello mutazionale. Cosa significa? Che il tumore, oltre ad essere classificato in base alla sede e alle caratteristiche del tessuto di origine, può essere analizzato anche dal punto di vista genetico, alla ricerca di mutazioni chiave che guidano la sua crescita e verso cui indirizzare farmaci mirati. Queste mutazioni vengono chiamate driver. Quando diciamo di avere un tumore, quindi, la domanda adesso dovrebbe essere: “con quali mutazioni?”.

Ecco che l’accesso alle terapie mirate richiede la disponibilità di test sensibili e affidabili, ma non solo. Se nel passato recente era sufficiente individuare una o poche alterazioni molecolari, la continua scoperta di nuove mutazioni target e la conseguente messa a punto di nuovi farmaci hanno reso necessaria una caratterizzazione molecolare molto più ampia in alcuni casi. Un esempio è l’adenocarcinoma del polmone, dove sono a disposizione più farmaci che colpiscono differenti alterazioni molecolari: alcuni sono registrati, altri no e possono essere ottenuti con un programma di accesso nominale o partecipando a uno studio clinico (se si posseggono le caratteristiche idonee previste dallo studio).

Per ottenere una così ampia profilazione genomica, però, bisogna ricorrere alla Next Generation Sequencing (NGS), che permette di valutare, in una volta sola, le alterazioni molecolari presenti in centinaia di geni coinvolti nello sviluppo e nella progressione tumorale, e di fornire dati relativi anche a biomarcatori complessi come il carico mutazionale del tumore (Tumor Mutational Burden), utilizzato per predire la sensibilità all’immunoterapia. Si tratta di tecnologie complesse e costose, che non tutti i centri oncologici possono avere (né è utile che abbiano).

Si aprono nuove possibilità importanti per i pazienti, quindi, ma è chiaro che il processo di presa in carico diviene molto più complesso e richiede una gestione molto diversa da quella messa in piedi per rispondere alle esigenze del modello istologico: si impone un completo ripensamento della gestione dei casi clinici, anche perché i modelli istologico e mutazionale coesistono e devono integrarsi nella pratica clinica. È ora di mettersi al lavoro e rendere questa integrazione una realtà per tutti i pazienti.

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