Gli enormi progressi fatti negli ultimi anni nei campi della genetica, della genomica, della proteomica, della biologia molecolare e della scienza dei dati ci stanno proiettando rapidamente in un futuro in cui la medicina - e in particolare la cura dei tumori - sarà sempre più di precisione. Bene, è una parola che ormai abbiamo imparato a conoscere. Ma siamo pronti a mettere a sistema tutti questi progressi? Ad integrarli nei percorsi di cura, affinché si traducano altrettanto velocemente in una nuova medicina della persona, migliore, più efficiente, più completa e magari anche più umana? Una medicina che tenga conto tanto del profilo biologico del paziente, quanto della sua dimensione personale, sociale e culturale. E possiamo garantire che questo valga per ogni cittadino, indipendentemente dal luogo in cui vive? Se vogliamo davvero che la risposta a tutte queste domande sia sì, allora dobbiamo essere disposti a una rivoluzione culturale. Tutti: i pazienti, i medici e ogni attore del Sistema della Sanità italiana.

Facciamo un esempio concreto. Prendiamo i nuovi test diagnostici che permettono di identificare le alterazioni molecolari di ogni singolo tumore, o le complesse analisi per il sequenziamento genico: è necessario che vengano proposti ai pazienti “giusti” (ossia a chi può davvero trarne un beneficio), nel giusto momento del percorso di cura e da chi sa poi gestire correttamente l’informazione che ne deriva, per trasformarla in possibilità di cura. Questo è solo uno dei tanti nuovi processi che devono essere coordinati e governati in modo coerente e razionale. Non solo: le tecnologie e le conoscenze evolvono rapidamente e altrettanto rapidamente il sistema dovrebbe sapersi rimodellare.

Appare chiaro, allora, come tutti gli stupefacenti progressi scientifici non possano prescindere da una nuova organizzazione della presa in carico complessiva del paziente, da una nuova visione del lavoro dei clinici (che devono imparare a collaborare all’interno di équipe multidisciplinari), dall’implementazione di nuovi organi, come i Molecular Tumor Board, e di nuove figure professionali, come i bioinformatici. Non in ultimo, anche da un ripensamento della relazione tra curanti e curato che parta dalla consapevolezza del ruolo del paziente come “esperto” della propria malattia.

Insomma, la ricerca scientifica non sta sfidando solo le patologie, ma lo status culturale, mettendo in discussione l’approccio metodologico ed etico utilizzato fino ad oggi. E la medicina personalizzata, più in particolare, chiede un cambio di paradigma non solo scientifico, ma anche gestionale, in cui l’innovazione terapeutica non dovrebbe più essere vista come un costo, ma come un valore per la salute.

La strada da fare è lunga, ma si parte da un solido presupposto: che la medicina personalizzata è efficace e sostenibile dal punto di vista scientifico, economico e psico-sociale. Questa consapevolezza ci spinge verso una stretta collaborazione con tutti gli attori del Sistema Salute, con l’obiettivo comune di implementare nuovi modelli e nuove pratiche, e di consentire al Sistema Sanitario di garantire a tutti una medicina il più “a misura” possibile.